Chissà come si troverebbe il maestro Gennaro Atomi in questa realtà scolastica davvero surreale che è diventata la scuola italiana, dove i programmi minacciano «tratti prosodici», «iper-iponimie», «moltiplicazioni a gelosia» e «divisioni canadesi» per destabilizzare le arcaiche, genuine sicurezze del «leggere, scrivere e far di conto». Niente di nuovo sotto il sole della burocrazia linguistica, niente più che un arrabattarsi senza colpi in canna in una battaglia con la declassazione sempre più impositiva della categoria docente, destinata all'anacronismo professionale più che a qualche improbabile evoluzione della carriera.
Ben venga, dunque - ben ritorni - il grottesco, irriverente ma anche malinconico romanzo del povero Maurizio Salabelle, scomparso l'anno scorso in età ancor giovane - classe 1959 - dopo aver gettato qualche lampo sulfureo e spiazzante sulla recente narrativa italiana. Parente stretto dei Benni e dei Cavazzoni, con qualche brandello del Campanile più eccentrico e spiazzante, Salabelle ha creato strutture e personaggi adeguati a un Fellini in miniatura, cogliendo l'aspetto estemporaneo delle follie umane, cercando la saggezza nella diversità, l'assurdità del reale nella dissennatezza della vita quotidiana. Un assistente inaffidabile, l'opera d'esordio del '92 - come passano in fretta le stagioni - rimane forse la sua prova più limpida e compiuta, ma non si può provare tutto il disagio della classe insegnante percorrendo le vicende strampalate del é«maestro Atomi»: qui tutte le ironie graffianti e dissacratorie di scrittori-docenti come Mastronardi, Starnone o Mastrocola superano alla grande il livello di guardia del raziocinio, per calarci in una fantascuola in cui il caso e la follia generano l'evoluzione intellettuale ed emotiva di alunni predestinati ai peggiori sacrifici richiesti dalla vita reale.
Il maestro Atomi attraversa la sua attività di docenza ingabbiato nel grembiule nero della memoria. Accarezza, strapazza e schiavizza - premiando più a caso che con criterio - trentanove alunni taciti e rispettosi - ma quando mai! - ai quali impartisce lezioni di fortuna e di destrezza più che di cultura generale. Gennaro Atomi va e ritorna, si assenta e ritarda, interpreta a suo modo le circolari come per dimostrare che ogni lettura della legge può essere comunque quella giusta. Bandisce concorsi in cui avrà la promozione chi torna a scuola ricavando più soldi dalla vendita di oggetti improbabili; gestisce lezioni sull'universo-donna analizzando in diretta per la classe una «studentessa tipica» che rappresenti la media aritmetica della femminilità adolescente; organizza gite autogestite in un Giappone fittizio. E' sostituito o affiancato da personaggi altrettanto assurdi - il supplente Gelli e l'aiutante Alpini - che coltivano brodi primordiali nei pentoloni o suggeriscono risposte errate agli alunni, mentre l'istituto scolastico sembra un'isola di aspiranti pazienti pronti per la clinica di una realtà incurabile. L'odore che si respira è quello di una scuola in cui tutto è possibile perché il libero arbitrio procede affiancato all'improvvisazioni delle istituzioni e dei governi. In questo universo parallelo si formano generazioni provvisorie che occuperanno forse posti di potere preoccupanti. C'è una richiesta d'aiuto seppellita dalle risate e dalla fantasia surreale, in queste vicende allucinate che dipingono la scuola come la madre di tutte le stravaganze. C'è - c'era, poiché il libro ebbe una sua prima edizione da Comix nel '97 - la rabbia sempre più solitaria di una categoria di lavoratori involtolati nei propri dubbi e nell'inadeguatezza a partecipare a una realtà che li dimentica, li accantona, li depriva di motivazioni essenziali. Come l'uomo di fumo di Palazzeschi, il maestro Atomi sembra svaporare cercando una conferma, galleggiando dimenticato in un universo lontano dalla realtà di cui dovrebbe far parte - naturalmente, eticamente - la scuola, con tutti i suoi anonimi, sempre più disarmati protagonisti.
Sergio Pent ttL - La stampa 25 settembre 2004
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