Il fascino di molti romanzi risiede nella loro capacità di farci entrare nella coscienza di uno o più personaggi, di cui ci viene offerto un ritratto intimo. La vita mentale di questi personaggi costituisce la ragion d'essere dell'invenzione narrativa. Sono romanzi che presuppongono un rapporto razionale fra l'io e il mondo circostante e ne tematizzano la crisi: travagli psicologici, conflitti morali, ascese e discese spirituali.
I romanzi di Maurizio Salabelle non appartengono a questa categoria. Se il romanzo "psicologico" ci permette di sperimentale l'irriducibile varietà dei punti di vista umani, Salabelle costruisce ingranaggi narrativi che si muovono sulla pagina con lo stesso enigmatico cigolio delle sculture meccaniche di Jean Tinguely.
Il maestro Atomi, il romanzo del 1997 ora riproposto da Casagrande, racconta le avventure di una classe di ragazzi in un istituto scolastico fuori del comune; fuori del comune ma neanche tanto, se si considera che la sua caratteristica principale sembra quella di aver smarrito il senso della propria funzione in oscuri vicoli ciechi. Aprendo i libri di Salabelle si ha la sensazione di entrare in un mondo alieno, sospeso sul baratro dell'assurdo, poi si alza lo sguardo e ci si accorge che le cose non stanno molto diversamente da come le descrive lui. Se non temessimo di ingarbugliarci le idee, potremmo dire che il suo è un mondo reale e nello stesso tempo irreale, per via di uno scarto della realtà che però finisce per renderlo ancora più reale.
Nel maestro Atomi il ruolo di narratore è affidato ad uno scolaro di dieci anni, Luigi Attriti. Se il giovane Attriti presta occhi e orecchi alla narrazione, fornendone per così dire l'angolatura, la voce è invece quella, inconfondibile, di tutti i libri di Salabelle: una voce pacata, impassibile, maniacale nell'inseguire certi dettagli apparentemente insignificanti, ma anche consapevole e divertita della propria musicalità ripetitiva e cigolante, quasi meccanica, appunto, da proiettore cinematografico sottratto alla polvere di uno scantinato e restituito alla magia delle immagini in movimento, alla visione.
Sarà opportuno dire qualcosa dell'istituto scolastico al centro del romanzo. Siamo in una metropoli di cui non è dato sapere il nome, in un'epoca che potrebbe essere la nostra, a parte alcuni palesi anacronismi, come il fatto che si tratta di un istituto per soli maschi (non lontano sorge l'istituto Giusy, riservato alle ragazze) e che i suoi allievi sono tenuti ad indossare un grembiule regolamentare. L'istituto è sottoposto all'autorità di un Ministero che bandisce ed emana decreti imperscrutabili ma prontamente messi in atto dal preside Gian Luca Tuoni. Fino all'ultimo capitolo, il Ministero della Pubblica Istruzione rimane un'entità astratta, lontana, e uno potrebbe essere tentato di vedervi all'opera il genio storto della burocrazia, con un monocolo à la Tristan Tzara.
Poi invece Luigi e il suo compagno Giuseppe Giuino, impegnati in un compito "fuori classe", si imbattono nel Ministro della Pubblica Istruzione in persona, tale Uovi, e hanno occasione di visitare gli uffici da lui diretti, compreso un magazzino stipato di mobili e oggetti d'arredamento ricoperti da "una polvere sottile" e prossimi al "disfacimento". L'imprevista accessibilità della sede ministeriale e il grigio trantran che vi regna contrastano con i toni imperiosi dei decreti da essa emanati, rendendo ancora più spiazzante questo luogo del potere che si potrebbe forse accostare a certi famosi luoghi kafkiani, primo fra tutti il Castello.
L'ombra lunga del Ministero non censura però ogni iniziativa nata all'interno dell'istituto. Perfino il supplente Arrigo Gelli, protagonista del primo capitolo, è libero di proporre agli allievi un esperimento scientifico assai bizzarro, inteso a ricreare in una "pentola aleatoria" o "autocatalitica" le condizioni di quel "brodo primordiale" in cui la vita si sarebbe manifestata per la prima volta.
Privi di potere, oltre naturalmente agli allievi, i numerosi bidelli, gentili o scorbutici, in ogni caso sempre pronti a svolgere le loro mansioni come se appartenessero da generazioni e generazioni all'ordine degli aiutanti. Tra i personaggi di spicco anche un ricco uomo d'affari con funzioni di ispettore scolastico che accompagnerà la classe di Luigi in una gita di tre giorni in Giappone, di cui due trascorsi in aereo per i viaggi d'andata e ritorno. Ecco il ritratto del pilota alla guida del velivolo: "Dall'espressione della sua faccia si capiva che era depressissimo e che non aveva quasi più voglia di continuare a vivere".
Una gita scolastica in Giappone ha senz'altro dell'eccezionale. Quale potrebbe essere invece, nell'istituto frequentato da Luigi Attriti, una giornata normale? Il maestro Atomi entra in classe e assegna agli allievi un tema intitolato "Un incubo", dopodiché si siede vicino alla finestra e rimane lì annientato dall'emicrania fino a quando non lo soccorre l'anziano bidello Mario Bolidi con trenta capsule di analgesici contenute in una "scatola rettangolare somigliante ad una confezione di cioccolatini al brandy". Nelle ore successive Atomi ingerisce queste capsule buttandole giù con un bicchiere d'acqua, mentre l'aiuto maestro Gianfranco Alpini gira fra i banchi e suggerisce cose completamente sbagliate. La sera stessa Luigi rivede il maestro titolare davanti a una rivendita di pettini in allestimento; sulle prime non lo riconosce, poi questi si toglie dal volto una voluminosa barba finta: "Non mi riconosci? - domanda allegro. - Sono io, il maestro Gennaro! Mi ero travestito da commerciante!". E il protagonista-narratore commenta: "Il mio insegnante aveva la faccia tutta rossa, era pieno di tracce di adesivo sulle guance e sul collo e mi stava guardando con un'espressione che indicava un sollievo dei più inaspettati". Motivo di questo improvviso cambiamento d'umore (dall'emicrania depressiva della mattina a una raggiante euforia) è l'ennesima circolare ministeriale che annulla disposizioni sfavorevoli al corpo insegnante diramate pochi giorni prima.
Al Ministero fanno il bello e il cattivo tempo; il maestro Atomi sembra affetto da una grande psicosi maniaco-depressiva; l'aiuto maestro è in realtà un antimaestro, un sabotatore della conoscenza, un nemico dei bambini; verrebbe da dire che il primo attributo di Dio, chiunque esso sia o non sia potrebbe essere la capricciosità.
Accompagnando a casa il narratore dopo le giornate sui banchi di scuola, possiamo poi assistere ad alcune memorabili scene di vita domestica, come quando la madre di Luigi si decide a lavare il divano e questo rimane fradicio per giorni e giorni, producendo una pozzanghera d'acqua insaponata che invade il tinello. Diventata inagibile la postazione divano-tivù, in famiglia non resta altro che uno sconsolato senso di vuoto.
Se Il maestro Atomi non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi lavora nella scuola, o di chi, dopo anni dalla licenza di scuola elementare o media, non si è ancora del tutto ripreso da quel trauma giovanile più o meno "beato", l'ultimo capitolo del libro, "Una lezione di economia", può essere considerato addirittura indispensabile per ogni aspirante businessman, bancario o operatore finanziario. In questo capitolo - che, come gli altri cinque, è anche un racconto autonomo - si narra infatti di come si possa diventare ricchi operando sul mercato con un capitale iniziale consistente in nient'altro che un rotolo di carta igienica di qualità scadente: "- Dobbiamo sbarazzarci di questo rotolo al più presto possibile (...) Qualcuno potrebbe pensare che stiamo andando a fare la cacca; che stiamo cercando un posto dove andar di corpo... No, non voglio correre rischi del genere, io. (...) - E come facciamo a sbarazzarcene? Chi è che avrà voglia di investire del denaro in un rotolo di carta igienica così insensato?".
Il maestro Atomi è un libro che se uno comincia con le citazioni poi non si ferma più, tante sono le sorprese, le invenzioni comiche - ma non solo comiche - lasciate cadere nel romanzo come se niente fosse, smorzando il tono o sviando l'attenzione da un'altra parte. È un libro che prende la parola in modo modesto, dimesso; come se non fosse motivato da ambizioni letterarie serie, ha insinuato qualcuno. Il fatto è che lo scrittore Salabelle è molto meno ingenuo di quanto si potrebbe credere; ha modelli altissimi come per esempio il romanzo Jacob von Gunten di Robert Walzer, lascia volutamente perdere i ragionamenti esistenziali, le volate liriche, i simboli e le allegorie e si dedica con cocciutaggine da scienziato pazzo alla costruzione di macchine narrative che producono quel cigolio (ipnotico, metafisico: metteteci pure tutti i paroloni che volete) di cui si parlava all'inizio. È questo, secondo me, il fascino dei suoi romanzi, e in particolare del Maestro Atomi.
Non mi pare che i romanzi di Maurizio Salabelle suggeriscano interpretazioni psicoanalitiche, è vero però che sembrano fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e che le "piccole vite" dei personaggi che li abitano sembrano "circondate dal (o da un) sonno" (...and our little life is rounded with a sleep, diceva quel tale).
Anche quando racconta la vita di un istituto scolastico, Maurizio Salabelle si guarda bene dal salire in cattedra: in fin dei conti a pensarci bene sono abbastanza rari gli scrittori che quando scrivono non vogliono dare lezioni di nessun tipo a nessuno.
Matteo Terzaghi La Regione Ticino 18 settembre 2004
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